#Love4Jazz. I Monti Lattari per un jazz differente
Dopo un breve momento di assenza ecco ritornare la rubrica che su questo giornale si occupa di Jazz.
Per questo appuntamento avrei intenzione di osservare da vicino la differenza, non troppo evidente ai più ma pur sempre una dissomiglianza tra le due pur fondamentali anime del jazz campano.
Mi riferisco al sound ormai consolidato e del modo di fare jazz a Napoli e quello che offre la folta schiera di ottimi jazzisti di Salerno.
La differenza
Il distinguo tra le due città, nelle sfumature di un jazz (che comunque resta d’avanguardia), si fa sentire … anche se in diverse occasioni si tende alla fusione delle due anime. Del resto è chiaro che il jazz resta uno anche se con ‘inflessioni’ diseguali.
Due città, divise da un nastro d’asfalto di circa 50 chilometri, ma unite da cose che hanno in comune. Penso al mare, al Tirreno ed affacciate sul sud del mediterraneo.
L’aria dei quartieri
Il jazz napoletano è senza dubbio molto più avvolgente di quello salernitano perché ricco di contaminazioni. Qui contano molto le influenze mediorientali (marcate) e la voglia di cercare nuove tecniche e sound.
Il jazz che si ascolta dai musicisti salernitani è senza dubbio di grande qualità e spessore … ma c’è da dire che il musicista di Salerno potrebbe essere paragonato a quello di New Orleans. Né più e né meno.
Il salernitano, poi, è ligio alle forme standard e si scopre meno predisposto alla contaminazione.
Insomma, a Salerno ascolto una forma jazzistica molto più fredda. Esattamente l’opposto di quello che accade nella vicina Napoli … e per cosa? Per quello che è un dono dei partenopei (leggi sopra alla voce contaminazione e ricerca).
La differenza tra i due sound è anche costituita da una fondamentale storia fatta di ‘aria di quartieri e vicoli’ che offrono la loro interpretazione ed accenti nella musica, nel canto blues ‘n’ jazz che si ascolta nei vicoli napoletani.
Salerno è molto refrattaria all’assorbire influenze esterne, resta meno predisposta ad aperture d’orizzonte … sostenendo con determinazione che è quella la linea da seguire … Ciò pur avendo una minore tradizione nel variegato groove e sound. Aria che si respira in quellobpartenopeo.
Sono grandiosi molti musicisti salernitani che si fanno conoscere ovunque. Carla Marciano ad esempio potrebbe essere l’icona perfetta e calzante del musicista jazz ‘Made in Salerno’, le sue produzioni discografiche sino ormai famose nel mondo. Dario Deidda si conferma e riconferma tra i migliori bassisti al mondo … seguace del suono di Jaco Pastorius è stato nominato diverse volte miglior bassista elettrico d’Italia.
Ma non basta. Come detto, i napoletani hanno più tradizione dove affondare le profonde radici. Ed è per questo che riescono ad essere caldi nel loro modo di suonare.
Il jazz è uno
Questo non esclude, però forme di collaborazione tra quelli che sono i musicisti vesuviani e quelli che vivono al di sotto della catena dei monti lattari.
Le due vene jazzistiche si fondono spesso attraverso jam session o lavori, fondendo molto agevolmente espressioni o ‘frasi’ napoletane con quelle salernitane.
Del resto, ovemai servisse, risultano frequenti, di fatto, le collaborazioni tra i salernitani ed i nativi della Napoli jazz.
Dicevamo delle collaborazioni: il pianista salernitano Alessandro La Corte si è contaminato con il grande batterista partenopeo Tullio De Piscopo; Carla Marciano e Dario Deidda, Giampiero Virtuoso (salernitani di origine controllata) hanno diviso palchi con Antonio Onorato e Joe Amoruso.
Il principio è che la musica ha un’importante e fondamentale peculiarità: unisce in maniera particolare e per davvero.
In tutto questo ed osservata quella linea sottile di un confine che non c’è, basta un solo concetto: il jazz è uno. Ad ognuno la possibilità di lavorarci di fantasia.
Il derby del jazz può terminare sullo zero a zero con la grandezza dei musicisti dei due golfi.
Antonino Ianniello