L’area archeologica di Paestum
Dodici chilometri di spiaggia sabbiosa, una fitta pineta che corre parallelamente alla costa e, ad un paio di chilometri dal mare, l’area archeologica greco-romana: l’antica Poseidonia, colonia greca, la cui fondazione è collocata dagli storici a cavallo tra il VI e il V secolo a.C. , anche se, secondo Strabone, già in epoca antecedente, e cioè tra il VII e il VI secolo a.C., Giasone, di ritorno dalla spedizione degli Argonauti che si erano impossessati del Vello d’oro, si era fermato alla foce del fiume Sele per erigere un santuario in onore di Hera Argiva.
Nel 273 a.C. Poseidonia diventa una colonia dell’Impero Romano, assumendo il nome di Paestum. Durante il dominio dei romani, Paestum subisce profonde trasformazioni urbanistiche e accresce la propria potenza commerciale, diventando un punto di riferimento per tutti i traffici che si sviluppano nel bacino del Mediterraneo. L’area archeologica è ricompresa all’interno di una cinta muraria di circa 5 km, che sorge tra il mare e la collina di Capaccio, l’antica Caput Aquae. L’area oggi visitabile rappresenta soltanto un piccolo settore della città antica, il cui perimetro è definito dal circuito, ben conservato, delle mura di cinta composte da blocchi di calcare e dotate di 28 torri e di quattro porte principali: Porta Aurea a Nord, Porta Sirena ad Est, Porta Marina ad Ovest e Porta Giustizia a Sud. La visita può iniziare dal santuario settentrionale, il cui monumento più importante è rappresentato dal tempio di Atena (cosiddetto tempio di Cerere), costruito alla fine del VI sec. a.C. su di un rialzo artificiale del terreno. A Sud del santuario è possibile vedere due edifici pubblici di età greca posizionati nell’area dell’agorà: il cosiddetto heroon, edificio destinato al culto di un personaggio eminente, forse il fondatore di Poseidonia eroicizzato dopo la morte; l’ekklesiasterion, monumento per le assemblee pubbliche, definitivamente obliterato in età lucana.
Proseguendo verso Sud, il percorso permette di visitare alcuni isolati e abitazioni di età romana; lasciando sulla sinistra i resti dell’anfiteatro, e passando davanti ad un edificio pubblico dotato di piscina destinato al culto di Venere, si giunge nel foro romano; la piazza è circondata da tabernae e su essa si affacciano il Comitium, il più importante monumento pubblico della colonia latina e il cosiddetto tempio della Pace.
L’itinerario si conclude con il santuario meridionale dedicato ad Hera, dominato dalla mole imponente di due templi dorici: la cosiddetta Basilica (ca 530 a.C.), con nove colonne sulla fronte, e il tempio cosiddetto di Nettuno (metà V sec. a.C.). Tutti gli edifici religiosi sono disposti lungo l’asse mediano da nord a sud, in posizione leggermente sopraelevata rispetto al resto dell’antica area urbana e sono orientati sull’asse est-ovest come tutti i templi greci. Il più antico tempio è proprio la Basilica, erroneamente così definita nel XVIII sec. per la mancanza di frontoni (precedentemente crollati) e quindi non riconosciuta come edificio sacro. Costruita nel 550 circa a.C., risulta la più arcaica dei monumenti pestani e con molta probabilità era dedicata ad Hera, divinità sovrana per i Greci. Il tempio di Cerere, realizzato nel 500 a.C. e denominato tradizionalmente Athenaion, si distingue per la creazione di un pronao di ordine ionico in una struttura architettonica di ordine ionico. Dominante nella sua rigorosa unità strutturale è il tempio di Nettuno, costruito nel 450 circa a.C. E’ l’esempio più alto di architettura greca in Occidente. Realizzati in roccia calcarea, il travertino, i templi sono da attribuire alla fase più arcaica dell’architettura greca. Sono di ordine dorico, con colonne similmente scanalate e senza basi.
La Certosa di San Lorenzo a Padula
Il centro antico di Padula è ricco di tesori artistici, architettonici e monumentali. Ma il monumento più importante di Padula è sicuramente la Certosa di San Lorenzo, che si erge su un vasto pianoro ai piedi del Centro storico. La Certosa ricorda nel disegno la graticola, strumento del martirio cui fu sottoposto San Lorenzo, riprodotto più volte nelle decorazioni e nei fregi di tutto il complesso. Oltre il filtro della facciata, di gusto tardo manierista arricchita, tra il 1718 e il 1723, dalla decorazione settecentesca, s’incontrano prima gli ambienti di rappresentanza e quelli per gli usi della comunità (l’appartamento dei procuratori, le foresterie nobili, il refettorio, le cucine, il capitolo, la chiesa), poi quelli per la vita più intima dei Certosini, (il chiostro grande e le celle).
La cucina, invece, presenta un particolare interesse perché conserva parte del suo arredo fisso (lavabi, ripiani di marmo, vaschette), risalente al XVIII secolo. Collegate alle cucine, nel sottosuolo, sono le gigantesche cantine. Sullo stesso lato lungo il quale sorgono gli appartamenti dei procuratori c’è il grande appartamento del Priore, con la cappella di San Michele, decorata da stucchi e dipinti trecenteschi, e l’elegante scala a chiocciola che con- duce alla biblioteca. Antistante la facciata è la grande corte esterna, delimitata da 3 bracci di fabbriche cui si accede attraverso un poderoso portale. Nella corte prospettano locali di servizio funzionali alla vita della Certosa: il frantoio, i mulini, le stalle, le scuderie.
Nel braccio parallelo alla facciata principale, dove si apre il portale d’ingresso alla corte, sono situate la torre ottagona degli armigeri, la cappella della Maddalena, all’estremità orientale, la chiesa dedicata a San Lorenzo, aperta ai fedeli, la spezieria, ad uso dei Certosini e degli estranei, decorata da affreschi settecenteschi in parte scialbati (la loggia della spezieria, dipinta con motivi architettonici, fu eseguita tra il 1733 e il 1734 da Niccolò Di Sardo e Francesco Di Martino). Parte integrante del complesso è il monumento a San Brunone, datato 1749, sistemato all’esterno dello spazio recintato ed in asse con l’ingresso principale della Certosa.
Il Chiostro grande ha forma rettangolare, con due ordini di portici su 84 arcate. Le volte a tutto sesto sono rette da pilastri a pianta quadrata e bugna alta. Il chiostro della Foresteria, a portico e loggia, con fontana al centro, è di impianto tardo manierista. Sulla loggia affrescata con architetture e paesaggi, cui si accede da una scala a doppia rampa, si aprono gli ambienti atti ad alloggiare gli ospiti illustri, quelli della cosiddetta foresteria nobile. Sotto il porticato terreno si apre l’accesso principale della chiesa. La porta lignea, inserita in un portale rinascimentale, è finemente intagliata con scene della vita di San Lorenzo e la raffigurazione dell’Annunciazione. La presenza di volte a crociera e di archi ogivali denuncia chiaramente la fondazione trecentesca della chiesa. La presenza di elementi decorativi di gusto barocco documenta consistenti interventi avvenuti nel corso dei secoli. Notevole il pavimento maiolicato e gli altari, settecenteschi, in scagliola a finto marmo. La chiesa è divisa in due zone, una prospiciente l’ingresso per i conversi, l’altra verso l’altare maggiore riservata ai Certosini. Adiacenti al muro destro dell’unica navata della chiesa si succedono le cappelle; a sinistra dell’altare maggiore è l’accesso alla sala del tesoro, in passato ricca di statue d’argento e di arredi sacri oggi dispersi.
Il Duomo di Salerno
Il Duomo, fatto costruire tra il 1076 e il 1085 sull’area di una chiesa precedente, fu consacrato da Gregorio VII nel 1085. Seppur quasi rifatto nella prima metà del ‘700, i restauri dell’ultimo cinquantennio hanno posto in rilievo l’importanza dell’edificio per la storia dell’architettura normanna. Una scalinata seicentesca conduce alla Porta dei leoni (XI sec.). Nel mezzo del vasto atrio è una vasca d’età classica. Sulla destra il campanile romanico di 56 metri della prima metà del XII secolo, osservabile anche da via Roberto il Guiscardo. Sulla semplice facciata, rimaneggiata nel 1722, corre una fascia marmorea la cui iscrizione attribuisce la costruzione dell’edificio a Roberto il Guiscardo. L’interno, rifatto a causa dei danni del terremoto del 1688, conserva nella navata mediana due splendidi amboni. Davanti al maggiore (destra, XIII sec.) donato dall’arcivescovo d’Aiello, si leva il candelabro pasquale della stessa epoca. Nelle navate laterali, si aprono sei cappelle per lato. La prima a destra è attribuita a Francesco Solimena. A sinistra, in fondo, il monumento della regina Margherita di Durazzo, di Antonio Baboccio da Piperno (1435). Entrambe le scale conducono alla cripta barocca.
L’area archeologica di Elea-Velia
Pochi chilometri a sud est del litorale di Casal Velino, sorgono i resti di Elea-Velia, faticosamente portati alla luce nell’ultimo secolo e mezzo, nel corso di lavori di scavo che ancora durano e che mirano a far riemergere l’intero perimetro di una delle più belle città della Magna Graecia, fondata da un gruppo di profughi focesi intorno al 540 a. C. Per due secoli Elea dettò legge sul Mediterraneo grazie al suo straordinario apparato commerciale, imprimendo una traccia indelebile nella storia del pensiero universale grazie alla scuola filosofica di Senofane, Parmenide, Zenone e Melisso, detta appunto “Scuola eleatica”. A rendere Elea una vera e propria “gemma” era la favorevolissima posizione geografica: un fiume, l’Alento, sufficientemente largo e profondo da consentire un riparo alle navi e, proprio alla foce, due isolette, Pontia e Isacia, che facevano da sentinelle. A monte, un promontorio fatto di terrazze digradanti verso il mare, su cui sorse l’Acropoli: templi, torri ed edifici sontuosi incastonati nella stupenda cornice del verde collinare. Vi arrivavano infermi da tutto il bacino del Mediterraneo per godere della dolcezza del clima e delle grandi proprietà terapeutiche delle acque. L’amenità dei luoghi convinse anche un girovago come Senofane di Colofone, a porre un termine alle proprie peregrinazioni: fu lui a fondare la famosa scuola filosofica, il cui maggiore rappresentante fu Parmenide. Nel I secolo a.C. Elea divenne Municipio Romano, assumendo l’odierna denominazione di Velia fino al IV secolo dopo Cristo, quando una catastrofica alluvione la seppellì completamente.
La città antica occupava una superficie di circa 90 ettari ed era organizzata in quartieri posti lungo il declivio naturale di una collina. La visita al Parco inizia dal settore meridionale della città e l’ingresso avviene da Porta Marina Sud, difesa da una possente torre quadrata; una strada lastricata conduce al Quartiere meridionale, nel quale è possibile visitare un complesso monumentale di età augustea destinato probabilmente al culto imperiale. Proseguendo, l’itinerario di visita costeggia il complesso delle terme romane e, seguendo l’antica via di Porta Rosa che collegava il quartiere meridionale con quello settentrionale, ascende verso la cima della collina. Superato un edificio pubblico in cui, forse, accanto al culto di Asclepio, si praticavano terapie mediche (Asclepieion), si raggiunge la famosa Porta Rosa, che fa parte di un complesso sistema di difesa interno alla città e rappresenta un’opera di alta ingegneria (fine del IV sec. a.C.). Attraverso il quartiere settentrionale, nel quale sono visibili numerosi esempi di case arcaiche in opera poligonale, si giunge sull’Acropoli.
Superando i resti del teatro, rifatto in età romana su un precedente edificio di età ellenistica, si raggiunge, attraverso la via sacra, l’area del santuario, al centro della quale sorgeva un tempio forse dedicato ad Atena. Del monumento è oggi visibile il basamento, parzialmente inglobato nella fortificazione medievale. Sull’acropoli è ancora possibile visitare la cappella Palatina, chiesetta del XII secolo dedicata a S.Quirino. L’insabbiamento del porto fluviale dell’antica Elea e il ricongiungimento alla terraferma delle due isolette enotrie che facevano da sentinelle allo scalo commerciale elino, portò alla formazione di una lunga striscia di spiaggia che oggi rappresenta il cuore della Marina di Ascea.