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Se stiamo insieme ci sarà un perché (come imparare a non diventare individualisti)

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I bambini sentono molto la responsabilità di aiutare gli altri. Svariate ricerche hanno evidenziato che gli alunni che aiutano altri compagni lavorano meglio, comprendono la materia più a fondo e sono capaci di applicarla più efficacemente.
Il lavoro individuale può risultare competitivo, mentre gli alunni che imparano a lavorare insieme riescono a massimizzare le risorse, una fra tutte, la creatività. Si tratta di un approccio, questo, davvero interessante, perché pone le basi per stimolare un aspetto fondamentale delle relazioni interpersonali, l’empatia (per questo argomento vi rimando al mio articolohttps://www.sevensalerno.it/2020/05/11/quando-ascoltare-non-e-solo-sentire/).
Imparare a collaborare anziché competere è una dimensione basilare per sviluppare abilità sociali e guardare ad una prospettiva di insieme piuttosto che di singolarità. Il nostro sistema scolastico è impostato prepotentemente sul singolo, sull’individuo (per questo argomento vi rimando al mio articolo https://www.sevensalerno.it/2020/05/03/la-perfezione-non-e-di-questo-mondo-ovvero-come-imparare-a-sbagliare-bene/).
Mi piacerebbe che si cominciasse a lavorare sui cambiamenti, quei cambiamenti che vertono su una maggiore collaborazione e cooperazione, magari invitando i ragazzi ad uscire dalla zona di confort delle solite procedure, ed imparare a rinunciare ad alcune cose che stanno a cuore al singolo, per il bene del gruppo.
Questo tipo di atteggiamento presuppone un prerequisito, il senso di appartenenza, indispensabile in ogni attività lavorativa, ma anche scolastica, per l’appunto, universitaria. Vale la pena di soffermarsi su questo aspetto sempre poco considerato ma che è imprescindibile se si parla di lavoro aziendale, di equipe, team di lavoro, gruppo laboratoriale.
Quando c’è senso di appartenenza tutti lavorano per un obiettivo comune, il bene dell’azienda, tutti sono più motivati e maggiormente produttivi nello svolgimento delle proprie mansioni. Tutte le aziende ricercano persone capaci di collaborare, non persone che vogliono primeggiare.
Allo stesso modo, a scuola, si preferisce avere alunni che mettono le loro abilità al servizio degli altri, del gruppo; non piacciono, invece, coloro che cercano a tutti i costi di primeggiare. Magari non sempre troveremo negli altri le persone che vorremmo, ma impareremo come interagire con esse.
E questa è un’altra grande abilità: imparare ad interagire con persone che non abbiamo scelto, ma che comunque ci ritroviamo vicine, significa che dobbiamo coinvolgerle e lasciarci coinvolgere, osservarle e capire quali sono i punti di convergenza e quali quelli di divergenza, qualora vi fossero, e farne in qualche modo tesoro. Imparare l’arte dello stare insieme è un passo decisivo per intrecciare rapporti fondati sulla stima ed il rispetto reciproco, per poter contare sull’altro, per poter intessere relazioni che siano durature in quanto solide sin dalle basi.
Si impara che per ottenere qualcosa si deve scendere sempre a compromessi, ci vuole impegno e perché no, qualche volta anche sacrificio. Siamo esseri sociali, dobbiamo necessariamente confrontarci ed operare degli scambi in quanto la conoscenza di se stessi passa attraverso il riflesso dell’altro.
Con l’isolamento non si arriva da nessuna parte.
Con questo tipo di prospettiva si indica ai bambini la strada per vivere profondamente la collettività evitando ricadute egoistiche, individualistiche.
Al giorno dì oggi siamo tutti estremamente concentrati su noi stessi. Nelle relazioni, a scuola, in campo lavorativo e in famiglia, l’atteggiamento individualistico può portare danni in tanti sensi.
E pensate che questo possa renderci felici? Quando stiamo bene con gli altri senza sforzarci di essere quello che non siamo, senza competere e modi di fare interessati impariamo a stare bene con noi stessi e con gli altri. Autostima e senso di sicurezza aumentano, e nasce in noi una nuova consapevolezza. Stare insieme affettuosamente oltre a creare benessere in chi lo fa è un modo per educare alle responsabilità.
Nel senso che abitua alla consapevolezza che a volte è necessario mettere da parte un po’ di noi per il bene comune. Si dovrebbe apprendere nelle famiglie, ma dal momento che ci sono sempre meno famiglie unite al giorno d’oggi ( ahinoi!) lo si potrebbe imparare a scuola da insegnanti preparati a questo metodo. L’insegnante deve favorire il dialogo tra studenti, e dialogare in prima persona con essi . Accantonare l’io per il noi, in famiglia, come a scuola, invita a fare uno sforzo per offrire il proprio contributo per portare avanti il ménage familiare e aumentare il senso di appartenenza.
Si può cucinare, giocare, pulire o semplicemente farsi compagnia, senza precipitare nel baratro della iperconnessione da cellulare, come avviene ormai comunemente e un po’ ovunque.
Tutti devono sforzarsi per il bene comune, genitori in primis, in quanto sono proprio i genitori a dover dare l’esempio. Pare che cantare sia un’altra delle attività che favoriscono il benessere, ma non un semplice benessere, bensì quello stato che viene definito anche “stare bene insieme” che si studia addirittura, e fortunatamente in molti sistemi scolastici del nord Europa, e che consiste nel tenere lontani i pensieri negativi, le lamentele, le cattiverie. Si tratta di uno “spazio-stato” che potremmo considerare una sorta di protezione, di scudo dal mondo in cui si crea tra i partecipanti una interazione equilibrata in cui tutti e ognuno ha come unico comune interesse quello di godersi l’attimo.
Dicevamo del canto. Pare che cantare sia una attività molto interessante per creare unità ed armonia. Ma bisogna saper cantare. In che senso? No, non bisogna necessariamente essere novelli Bocelli.
La condizione necessaria perché il canto risulti produttore di armonia è farlo in maniera sinergica, il che vuol dire che non bisogna cantare molto forte né troppo piano. Lo si può fare alle feste, ad eventi artistici, alle cene, il canto unisce e fa sentire tutti parte del tutto. Aumentando il calore e l’unione tra la gente.
Alcuni studi hanno dimostrato che col canto le persone di un coro riescono a sincronizzare i battiti cardiaci. Nick Stewart della Oxford Brookes University, che ha condotto uno studio sui cantanti coro, ha rilevato costoro sono persone felici, non solo, proprio per il lavoro di sincronicità, pare traggano giovamento a livello di respirazione , postura, e coordinamento. Cantare quindi stimola i livelli di ossitocina , abbasserebbe i livelli di stress, rafforza i legami. Una ricerca su Evolution and Human Behavior asserisce che cantare fa bene al cuore perché rallenta il battito cardiaco e rilascia endorfine.
In When: The scientific secret of perfect timing ,Daniel H. Pink dice che il coro dovrebbe essere una attività obbligatoria soprattutto nelle scuole perché produce numerosi effetti fisici mentali e morali. E se è davvero cosi, pensateci, dovremmo provarlo proprio tutti.
Sonia Sellitto
Pedagogista, formatore, progettista europeo, esperta in disagio adolescenziale

Maria Rosaria Voccia

Giornalista, editore e direttore responsabile di www.sevensalerno.it e di www.7network.it. Storico dell'Arte, sono cittadina del mondo, amo la vita, l'arte, il mare, i gatti... Esperta in giornalismo eco ambientale, tecnico di ingegneria naturalistica, autrice del Format Campania in Fiamme: Criticità & Proposte, mi impegno nelle e per le campagne eco ambientaliste perché desidero un mondo migliore, per noi e per i nostri figli. Sono progettista culturale, ideatrice di Format, organizzatrice e curatrice di eventi.

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