
«Amo le piramidi d’Egitto, amo Caravaggio, amo Van Gogh, amo il Partenone, amo Rembrandt, amo Kandinskij, amo Klimt, amo Goya, amo l’impeto della Vittoria di Samotracia, amo chiese medievali, amo il personaggio di Ofelia così com’è descritto da Shakespeare e onoro i morti pensando, di me, che sono un artista moderno».
Con queste parole Jannis Kounellis (1936-2017) descriveva se stesso, definendosi un “artista moderno” nonostante abbia utilizzato spesso nelle sue opere un repertorio simbolico che apparteneva di diritto alla tradizione classica, dai cavalli ai frammenti archeologici.
A due anni dalla sua scomparsa Fondazione Prada dedica a questo grande artista un’ampia retrospettiva curata da Germano Celant, che si apre a Venezia nelle sale di Ca’ Corner della Regina. Promossa dalla fondazione in collaborazione con l’Archivio Kounellis, riunisce settanta opere realizzate in un arco temporale che va dal 1958 al 2016, per ricostruire tappa per tappa l’evoluzione della ricerca dell’artista, a cominciare dai primi dipinti realizzati a Roma, dove arriva nel 1956 a vent’anni insieme alla giovane moglie Efi. Il giovane si lasciava alle spalle infanzia e adolescenza trascorsi al Pireo, a disegnare e a dipingere nelle aule di un istituto di preparazione per entrare all’Accademia di Belle Arti: tra i suoi primissimi ricordi il terrore della guerra, i bombardamenti sul porto, la confusione della guerra civile greca, cominciata alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e durata fino ai primi anni Cinquanta. «Il suo viaggio – spiega Germano Celant – è un andare verso il futuro che comporta uno strappo con il passato e la storia della sua cultura, che tuttavia non potrà essere rimossa né cancellata. L’erranza, connessa alla decisione di partire per affermarsi e ottenere un riconoscimento, implica un metodo di vita e di azione che rimane legato alle radici e alla memoria delle origini e che, nel corso del tempo, emerge quale dimensione del suo esprimersi».(Fonte: Exibart)
Redazione