Lettera 22

L’ombra

di Lello Cicalese

La scogliera era avvolta nella foschia pallida e lattiginosa del primo mattino. Tiepidi raggi di sole proiettavano timide ombre, evanescenti come un ricordo, sul porfido polveroso della lungomare. La mia ombra mi seguiva in disparte, un mosaico fluttuante, unico segno tangibile e oggettivo della mia esistenza. La sua presenza mi infastidiva. Avrei voluto essere puro spirito, e lei me l’impediva. Sguardi liquidi e indifferenti mi attraversavano da parte a parte, piedi trascinati senza ritegno la calpestavano ignari delle sue sofferenze. Glielo avevo detto di lasciarmi in pace, ma lei… niente!

Quella mattina mi ero svegliato molto presto ed ero stato attento a non fare alcun rumore che potesse svegliarla. Mi ero alzato nel buio, e al buio mi ero infilato calze, scarpe e pantaloni. Il silenzio era così denso che potevo udire i battiti del mio cuore. Percorsi il lungo corridoio in punta di piedi, la maniglia era fredda, le mie mani sudate. Inspirai profondamente e scivolai fuori alle prime luci dell’alba. I lampioni per strada si erano appena spenti e la mia toyota era lì, di fronte al portone: solo pochi passi mi separavano da lei. Pigiai il tasto del telecomando, la sicura scattò in alto, trattenni il fiato e mi precipitai nell’abitacolo. Seduto al posto di guida, le mani strette sul volante, la fronte imperlata di sudore, avevo il respiro affannoso.
Girai la chiave dell’accensione e mi avviai lentamente con il motore al minimo, forse stavolta ce l’avrei fatta. Sbirciai nello specchietto retrovisore e fu allora che la vidi: usciva da sotto il portone, o almeno così mi sembrò, con un ineluttabile fruscio. Guizzò velocemente da un lato all’altro della strada come un’impressione fugace, un soffio appena percettibile…
Affondai il piede sull’acceleratore. Le strade deserte del dormiveglia scorrevano veloci davanti ai miei occhi, il cuore mi batteva all’impazzata. La lunga discesa verso il mare, la curva, il motore fuori giri, il rettilineo… frena!
Spensi il motore e respirai lentamente, chissà se ero riuscito a seminarla. Aprii lo sportello e misi un piede a terra, poi l’altro e infine mi tirai fuori completamente…
Era stato tutto inutile, non c’era niente da fare: anche stavolta mi aveva ripreso. Era lì, attaccata alle mie suole, con un’intollerabile aria di sfida.
“Quando la smetterai di perseguitarmi?” le urlai sconvolto, ma la domanda cadde nel vuoto, rimbalzò sul marciapiede e si frantumò in mille pezzi.
Inspirai profondamente, mi passai la mano tra i capelli e attraversai la strada senza degnarla di uno sguardo. Avrei dovuto sopportarla ancora una volta, per un’intera giornata, fino al calar del sole…

© 2017. Lello Cicalese
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